Nel 1885 il compositore rumeno George Stephănescu diede vita alla “Compagnia delle opere rumene” con la quale iniziò a portare in scena opere, per lo più, del repertorio italiano e francese. Nel 1919 la Compagnia delle opere rumene prese il nome di “Lyric Society” e nel 1921 si trasformò in “Opera rumena” che venne inaugurata il 20 dicembre 1921 con una recita di Lohengrin diretta dal grande violinista locale George Enescu.

Per la stagione del centenario il teatro dell’Opera Nazionale di Bucarest si è impegnato nel fare le cose in grande invitando artisti di ottima carriera internazionale quali Cristina Păsăroiu, Benjamin Bruns, Bogdan Mihai e autentiche star quali Petra Lang, Jacqlyn Wagner, Ruxandra Donose, Giancarlo Del Monaco, Gregory Kunde ed Elena Mosuc.  Del denso ed interessante cartellone, va segnalato sicuramente Lohengrin, titolo che cento anni fa inaugurò l’Opera rumena, e Oedipe, opera composta nel 1936 da George Enesco.

Con un non indifferente sforzo produttivo, la principale istituzione musicale rumena ha omaggiato anche i 220 anni di Vincenzo Bellini con il nuovo allestimento di Norma a cui abbiamo assistito domenica 24 ottobre.

Originale e ben realizzata l’idea registica di Alice Barb la quale, ben coadiuvata dalle scene realizzate da Adrian Damian, ci ha trasportato in una Gallia fatata: una via di mezzo tra A Midsummer Night’s Dream e Le cronache di Narnia. Ancor prima dell’inizio della recita notiamo un ampio strato di piccole foglie dai colori vari e sfumati tipicamente autunnali a ricoprire tutto il boccascena sino alla buca dell’orchestra per poi risalire e fagocitare l’inizio della platea. All’apertura del sipario una creazione di rami intrecciati – la quercia di Irminsul – sopra il palcoscenico si collega a delle ottime proiezioni che ne prolungano le ombre ovunque, anche sulle pareti della sala, dando l’impressione di essere all’interno della foresta sacra de’ Druidi. La pietra druidica, ricostruita molto bene, occupa quasi tutta la scena ed è posta su una piattaforma rotante che servirà a Norma per avvicinarsi alla luna e agli elementi della natura che darà l’impressione di poter controllare. A sorvegliare la vita nella foresta non potevano mancare due elfi e un discreto numero di silfidi che hanno danzano sulle gradevoli coreografie curate da Monica Petrică. Suggestivi e coinvolgenti gli effetti ottenuti dalle proiezioni realizzate da Dilmana Yordanova e Eftimie Gheorghe Ovidiu. Di taglio tradizionale e ben confezionati i costumi di Maria Miu.

Elena Mosuc torna ad indossare gli abiti di Norma, un ruolo che da circa un decennio le dà grosse soddisfazioni e le appartiene totalmente. La voce, come abbiamo avuto modo di constatare nei Lombardi visti a Cluj, è timbricamente fresca, cresciuta sotto l’aspetto del volume senza essersi appesantita in termini di emissione. Quello che lascia veramente sbalorditi di questa artista, con trent’anni di carriera alle spalle, sono le proprietà tecniche, la perfetta musicalità ed il carisma; doti che le consentono di plasmare una Sacerdotessa autenticamente belcantistica. Eteree messe di voce, fiati lunghissimi che le consentono legati e dinamiche ampissime, mezzevoci a qualsiasi altezza del pentagramma, agilità perfettamente sgranate, registro acuto e sopracuto sfolgorante costituiscono un campionario di doti tecniche da autentica fuoriclasse. I tempi particolarmente lenti staccati per “Casta Diva” hanno contribuito a rendere ancora più intensa ed implorante la preghiera alla luna. La successiva cabaletta “Ah! bello a me ritorna” è affrontata con la necessaria forza ed accenti incisivi mentre il da capo risulta addirittura elettrizzante con tutti i do e do# previsti in partitura. Spettacolare il concertato in chiusura di primo atto chiuso da un lucentissimo re sopracuto. Ciliegina sulla torta il mib di meravigliosa fattura emesso in chiusura del duetto con Pollione, chicca che raramente si è sentita live: pochi e prestigiosi i precedenti, fra cui Sutherland (in studio) e Deutekom. Si badi bene, l’eccezionalità non sta tanto nella nota in sé (che in artiste di ascendenza lirico-leggera, come quelle appena citate, fa parte del bagaglio naturale) ma nel fatto che viene affrontata dopo aver cantato tutta l’opera e soprattutto al termine di una scena che inizia addirittura con un Do3.
Laddove la scrittura musicale dovrebbe porla un tantino sulla difensiva, la Mosuc sfodera una grinta e una ferocia da autentica tigre del palcoscenico, dimostrando di saper buttare il cuore oltre l’ostacolo senza limitarsi a fare il compitino. L’obbiettivo è emozionare ed il pubblico lo percepisce, freme e al termine le regala un’interminabile quanto meritata standing ovation con applausi ritmati. È assurdo, per non dire scandaloso, che un soprano di tale levatura, allo zenith della sua maturazione artistica, sia oggi così poco utilizzata nei nostri teatri togliendo in questo modo soddisfazioni assicurate al pubblico e privando ai giovani artisti di apprendere, direttamente in palcoscenico, dalla sua esperienza.

Daniel Magdal, tenore che fa parte dell’organico stabile del teatro in cui canta spaziando da Canio a Otello di Verdi passando per Trovatore e Lohengrin, è un solido professionista dotato di buona musicalità che canta con intelligenza ed adeguate intenzioni. Il suo è un Pollione credibile scenicamente e squillante in acuto.

Ruxandra Dunose, altra star invitata per questa stagione del centenario, è una raffinatissima Adalgisa che, In virtù della bella presenza, non fatica a rendersi credibile nei panni della giovane innamorata di Pollione. Curatissima l’emissione caratterizzata da un fraseggio sfumato e da una particolare attenzione alla parola. Pressoché perfetto l’affiatamento con la protagonista.

Discreto l’Oroveso interpretato da Iustinian Zetea dotato di voce piuttosto scura di bel colore seppure non enorme.

Sufficiente l’apporto di Sidonia Nica al ruolo di Clotilde, mentre gradevole e corretto è risultato Andrei Lazăr nei panni di Flavio.

Ethan Schmeisser direttore israeliano cresciuto artisticamente al Teatro dell’Opera di Tel Aviv ha offerto una lettura interessante della partitura belliniana. Una direzione attenta agli equilibri tra buca e palcoscenico, dalle agogiche varie e con la giusta attenzione alle necessità della protagonista.

Buona la prova dell’orchestra e del coro dell’Opera Nazionale di Bucarest.

Al termine grande successo di pubblico per uno spettacolo che verrà replicato il 3 ed il 14 novembre e che consigliamo vivamente di vedere.

La recensione si riferisce alla recita del 24 ottobre 2021.

Danilo Boaretto